Le raffigurazioni iconografiche che ritraggono San Cono e che si venerano a Teggiano e Cadossa, si sono formalizzate nel corso dei secoli secondo differenti modalità d’esecuzione: dall’affresco ai dipinti su tela, fino alla statuaria lignea processionale.
Le due effigi in legno della chiesa cattedrale costituiscono le rappresentazioni del Santo più note, ma per entrambe va sottesa un’importante distinzione, considerandone la più recente, il San Cono dormiente, opera di Andrea Cariello, come il simulacro canonico, “statico” ed inamovibile, realizzato specificatamente per l’altare della cappella della Traslazione, con l’intento di sostituire l’antico paliotto con figurazione marmorea del Benedettino.

La statua di San Cono in Gloria, che oggi viene riconosciuta come figurazione ed exempla dell’immaginario collettivo, fu realizzata espressamente per scopi processionali ed inizialmente destinata ad essere conservata durante tutto l’anno, ad eccezione dei periodi delle tre feste del Santo, in deposito o in sagrestia.
Si preferiva allora, anche secondo direttive canoniche e liturgiche, utilizzare la statua eretta ed a figura intera per la sola processione e l’ostentazione durante il periodo specifico delle celebrazioni, relegandone la conservazione in un appartato spazio non visibile ai fedeli, che per la preghiera si rivolgevano all’icona della cappella in Santa Maria Maggiore.

Solamente agli inizi del XX secolo, con l’intaglio della “caggia” (o “gaggia”, in italiano: gabbia, ma dal latino “cavea(m)”: cavità o recinto), inserita nell’ultima arcata di destra della navata maggiore della chiesa cattedrale, il simulacro di San Cono in Gloria avrà “un posto fisso” in chiesa, per poi essere traslato nell’antica cappella di San Vincenzo Ferreri.

Quando il culto, ufficializzato dalla canonizzazione, si fece intenso e partecipato, a partire dalla fine dell’Ottocento, divenne quasi d’obbligo porre in primo piano e per tutto il tempo dell’anno il venerato simulacro processionale, una mediazione di “dialogo” tra i fedeli ed il loro patrono.
Fu commissionata la “caggia”, che doveva custodire la statua processionale, probabilmente per opera del Comitato Feste e col placet del Capitolo Cattedrale. Realizzata in legno, la si vede ritratta in una fotografia degli anni Quaranta, prima che venisse definitivamente smembrata; fu opera di un valente esperto di ebanisteria, sulla scia di una consolidata tradizione comprensoriale, che vide i maggiori rappresentanti dell’epoca in Fortunato Cafaro di Caggiano, Vincenzo Ippolito di Laurino e Cono Marmo di San Rufo. Questo rilevante “stipone” o contenitore con vetri, intagliato nella materia lignea, fu collocato nell’ultima arcata a destra tra la navata maggiore e quella laterale, proprio di fronte all’ambone del magister Melchiorre. La sua persistenza quale deposito sacro della statua del Di Venuta è stata in auge fino alla realizzazione dell’altare marmoreo di San Cono in Gloria, nell’antica cappella di San Vincenzo Ferreri, sempre in cattedrale. Ora la “caggia” trovasi smembrata nell’oratorio parrocchiale, frammentata in diverse componenti dal canonico don Michele D’Elia per adornarne la scena del teatrino parrocchiale e divenuta ormai muta testimonianza del material deposito dell’effigie di San Cono per contenuto tempo, dalla fine dell’Ottocento alla metà del secolo successivo.

Oggi se ne riconoscono i pannelli della base, di cui il centrale riporta il simbolo di Diano, la stella a cinque punte, con coda, mentre per l’alzato sopravvivono le quattro lesene angolari con capitello composito e la cimasa anch’essa decorata.

Non va disconosciuto il valore sacrale della “caggia”, che seppur espressione di un materiale contenitore, assume un significato tutt’altro che effimero, ma si condensa con la medesima immagine del Santo, tanto da divenirne componente dell’immaginario collettivo. Tanto può riscontrarsi con le nicchie delle Madonne inamovibili o dei santi, come per il San Michele Arcangelo di Sala Consilina (la “caggia” è del 1864, nella SS. Annunziata), oppure con le “cagge” processionali delle venerate Madonne di Sanza e di Viggiano, solo per citare qualche esempio a carattere comprensoriale.

A Teggiano il trono dell’antica cappella di San Vincenzo n’è diventato la materiale prosecuzione di custodia dell’antica “caggia” lignea, che seppur obliata, meriterebbe una conservazione degna d’attenzione. Il dossale marmoreo di San Cono in Gloria fu realizzato grazie all’interessamento del Comitato Festa, in ricordo del primo Centenario della liberazione di Teggiano dal flagello del terremoto del dicembre 1857, dovuta al patrocinio del Santo. Fu eseguito dalla ditta Arreghini di Pietrasanta ed installato nell’antico sacello del Domenicano spagnolo, proprio di fronte alla cappella della Traslazione ed inaugurato nel mese di maggio del 1958.