a cura del prof. Mario Casella

Prima di concludere, vorrei brevemente soffermarmi sulla umanità e sulla spiritualità di don Michele. In un articolo del 1985, intitolato “Le stranezze della mia vita”, don Michele così descrive il suo “carattere”: “Poco felice, piuttosto taciturno, parlo poco e male; mi limito alla stretto necessario; poco portato alla discussione, disagevole nel ragionare, riesco più a fare che a dire. Uomo di propositi: se prendo una iniziativa, anche se difficoltosa, mi sforzo di portarla a termine; non bado a spese, penso poco al guadagno, ho molta fiducia nella Divina Provvidenza. Rifiuto l’eleganza, la ricercatezza: quando entrai in Seminario, mia madre mi comprò un paio di scarpe lustre, ma non fu possibile farmele mettere, dovette cambiarle con un paio molto ordinarie; uso poco lo specchio, niente profumi. Rifuggo dalle adulazioni, le lodi esagerate mi danno fastidio, le lavie mi disgustano; apprezzo la sincerità e la semplicità; non temo di dire la verità, anche se dovesse costarmi qualche fastidio e noia. Non impreco […]. Ho il massimo rispetto della propria ed altrui roba: quello che può essere utile va rispettato e mai sciupato: il rispetto della roba, anche in minima proporzione, è, per me, la più grande ricchezza. Non do molta soddisfazione al mio “asino” corpo, onde non tiri calci sventati. Soffro del timore, ma non della paura.

Leggendo i suoi scritti autobiografici, sono rimasto profondamente colpito dalla sua grande e sincera umiltà. Nel gennaio-luglio 1984, don Michele così parla nel Bollettino di sé: “Sono piuttosto corto, corto non solo di statura, ma anche di intelligenza, di memoria, di fantasia; corto di vista, di udito, di qualsiasi capacità: sono un uomo molto ordinario, alla portata di tutti, posso considerarmi come colui che ha avuto da Dio non 5 talenti e forse nemmeno due, ma uno soltanto, uno ma quest’uno non l’ho nascosto, come quello del vangelo, ma mi sono sforzato di valorizzarlo, quanto più ho potuto. La mia forza sta, oltre nell’aiuto di Dio, nella forza della mia volontà, spinta qualche volta, fino alla caparbietà”.  Poi aggiunge: “L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora: da solo non avrei potuto far nulla e né penso che alla vecchiaia possa fare qualche cosa, ma con l’aiuto di Dio e il contributo dei buoni si possono fare grandi cose. Vedete, tutto quello che ho fatto l’ho fatto incominciando da zero poco più poco meno e così continuo, poco più poco meno. Quello che ho fatto non è un gran che, ma raffrontato alle mie modeste capacità è qualche cosa, viva Dio. Questo è il vostro Parroco! Nulla di straordinario, nulla di eccezionale; di poche parole, di poche pretese; amante del bello, del buono, del vero; ma tutto imperfetto, incompleto, indeciso: uno che si è saputo accontentare del poco, del semplice; senza grandi aspirazioni, lontano dall’apparire, dal mostrarsi, dal possedere; aborre l’ipocrisia, la vana gloria, la ricercatezza; ama più il fare che il dire, più il dare che l’avere, più il compatire che il gioire”.

Queste note caratteriali aiutano a capire non solo la umanità, ma anche il sacerdozio e la spiritualità di don Michele. Una spiritualità che, oltre all’umiltà e alle varie pratiche devozionali intensamente vissute (prime fra tutte quelle per il Sacro Cuore, la Vergine Immacolata e della Misericordia, San Michele, San Cono) fa frequente riferimento a virtù quali l’obbedienza ai superiori e la povertà. Non perde occasione per rinnovare la promessa di assoluta ubbidienza ai superiori fatta nel giorno della sua ordinazione sacerdotale. Quella promessa è dettata dalla convinzione che “chi ubbidisce non sbaglia mai” e che “non è sempre facile ubbidire, ma sempre vantaggioso”. Quanto alla povertà, vorrei ricordare la rinuncia ai beni di famiglia al momento dell’ordinazione sacerdotale: “Ebbene, – scrive nel 1964 – sia io, che il fratello D. Antonio, per non angariare ancora più il resto della famiglia, non solo non pretendemmo il dovuto per legge, ma rinunziammo a tutto in loro favore ed ottenemmo così il grande dono della libertà. Così ci vogliamo bene tutti, ci stimiamo, ci aiutiamo nel limite del possibile e stiamo in pace con tutti. Si realizza così la beatitudine evangelica che proclama: ‘Beati i poveri…’”. A quanto detto fin qui vorrei aggiungere che don Michele viveva costantemente con la mente e con il cuore all’incontro definitivo con Dio. “Carissimi, – scrive nel 1984 – una cosa è certa che si avvicina il grande traguardo: sta ergendosi l’ultimo pilastro della vita: quello che sfocia nella Eternità. Uscii dalla Eternità e torno alla Eternità e sarà quello un momento bellissimo, perché si ritorna al Padre. Certamente mi toccherà fare gran toletta in Purgatorio, ma sarà quello un tempo piacevole perché mi preparo al Grande Amplesso”.

Prima di concludere, consentitemi di leggervi le parole che don Michele pronunciò nel 1987, al momento di lasciare la parrocchia e di passare il testimone a don Andrea La Regine:

“Si suggella, oggi, con questa solenne funzione, la seconda tappa della mia via sacerdotale.

La prima va dall’ottobre del 1935 al 1955, trascorsa in Seminario sotto la illuminata direzione di S. E. Mons. Oronzo Caldarola.

Per vent’anni ho eseguito le sagge direttive del mio Santo Vescovo. Ho fatto bene o no, non lo so, ho voluto soltanto eseguire la volontà dei Superiori, perché ero convinto e lo sono tuttora, che fare la volontà dei Superiori era lo stesso che fare la volontà di Dio e quindi non si può sbagliare.

La seconda tappa va dal 1955 (l’8 dicembre) al 6 gennaio 1988, trent’anni circa di apostolato parrocchiale.

Io, questo l’ho sempre ritenuto un compito superiore alle mie forze e l’ho notificato, successivamente, a tutti i Vescovi: a Tinivella, a Forzoni, ad Altomare e al Vescovo attuale Mons. Bruno Schettino, supplicandoli di sollevarmi da tale peso non tanto per me, ma per il danno che ne avrebbe avuto la Parrocchia stessa. Che cosa ho fatto in tutto questo tempo? Certo non ho perso tempo, non ho badato ai sacrifici, ho consumato tutto senza chiedere niente a nessuno, la Provvidenza mi ha assistito, i buoni mi hanno incoraggiato, tutto quello che ho fatto l’ho fatto alla luce del sole e quello che è meglio non ho debiti con nessuno: soldi non ne ho, ma nemmeno debbo darne; sono contento nella mia povertà.

Sento però un grande bisogno di ringraziare tutti quelli che mi sono stati vicino, incoraggiato, mi hanno compatito, mi hanno voluto bene e mi hanno aiutato e sostenuto nei momenti più difficili.

Ed ora che sono stato alleggerito del peso della Parrocchia, che farò? Mi darò forse alla bella vita? Non ne ho voglia. Il Vescovo, benevolmente, mi ha assegnato il compito che aveva il caro D. Antonio, l’Arciconfraternita. Ebbene, mi impegnerò a continuare la sua opera, in che modo? Sviluppando i suoi Programmi: Crocifisso, Purgatorio, Buona Morte. Per fare una buona morte bisogna assistere spiritualmente i vecchi e gli ammalati, i quali facendo una buona morte entreranno in Purgatorio ed entrati in Purgatorio, in virtù del Crocifisso, passeranno in Paradiso, nostra ultima aspirazione.

Naturalmente un tale programma non potrà realizzarsi se non è intimamente unito al Parroco, e il Parroco è don Andrea, un virgulto di questa Parrocchia. E’ giovane, intelligente, fattivo, quindi auguri a D. Andrea, auguri all’Arciconfraternita, auguri a tutti quanti noi.

Io adesso uno di voi, sotto la guida di un amico pastore. Vogliamoci bene e tutto andrà bene. IN NOMINE DOMINI, AMEN”.

“””

Vorrei concludere questa mia relazione con due appelli. Il primo è rivolto al Consiglio Comunale degnamente presieduto dal Sindaco Michele Di Candia. Mi piacerebbe, e credo che piacerebbe a tutti voi, che a don Michele fosse presto dedicata una piazza o una via di Teggiano: sarebbe un modo concreto e visibile di perpetuare nel tempo il ricordo di un sacerdote che ha tanto amato e onorato questa nostra città. Il secondo appello è indirizzato a quanti hanno conosciuto da vicino don Michele ed hanno qualcosa di interessante da dire sul suo conto. Ho intenzione di scrivere un libro su di lui: sarei perciò lieto di poter ospitare qualche testimonianza significativa, che andrebbero ad aggiungersi a quelle già in mio possesso, firmate da don Antonio Garone, don Michele Della Monica, Antonio Setaro, Michele Mea, il maestro Coiro. Sarò grato agli amici che vorranno accogliere questo mio invito se mi faranno avere il loro contributo prima di Pasqua e possibilmente per posta elettronica.

Il mio sogno è che, a conclusione di questi venti anni trascorsi dalla morte di don Michele, il 22 ottobre 2009, si possa presentare il libro e magari inaugurare anche la via o la piazza che il Comune vorrà dedicargli.

Grazie per la vostra pazienza.